giovedì 26 dicembre 2019

Schopenhauer

Schopenhauer si pone come punto di incontro di esperienze filosofiche eterogenee (Platone, Kant,
Illuminismo, Romanticismo, Idealismo e spiritualità indiana). Di Platone lo attrae la dottrina delle “idee”, intese come forme eterne sottratte alla fragilità dolorosa del nostro mondo. Da Kant deriva l’impostazione soggettivistica della sua gnoseologia. Dell’Illuminismo lo interessano il filone materialistico e quello dell’ideologia, da cui eredita la tendenza a considerare la vita psichica e sensoriale in termini di fisiologia del sistema nervoso. Dal Romanticismo trae alcuni temi di fondo del suo pensiero, come l’irrazionalismo, la grande importanza attribuita all’arte e alla musica, e il tema dell’infinito, cioè la tesi della presenza, nel mondo, di un principio assoluto di cui le varie realtà sono manifestazioni. Altro motivo romantico è quello del dolore. Schopenhauer, però, a differenza del Romanticismo, appare orientato vero il pessimismo.
Il pensiero idealistico (“bestia nera”) è presentato come una filosofia non al servizio della verità, ma di interessi volgari come il successo e il potere, e che si propone sofisticamente le credenze che tornano utili alla Chiesa e allo Stato. A Fichte e Schelling riconosce tuttavia un certo ingegno, se pure male impiegato.

Qualunque sia il giudizio in proposito, è fuori dubbio che Schopenhauer:
1. è stato il primo filosofo occidentale a tentare il ricupero di alcuni motivi del pensiero dell’estremo Oriente
2. ha tratto da esso un prezioso repertorio di “immagini” e di espressioni suggestive
3. è stato un ammiratore della sapienza orientale ed un “profeta” del suo successo in Occidente

Il mondo della rappresentazione come “velo di Maya”
Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé. Per Kant il fenomeno è la realtà, l’unica realtà accessibile alla mente umana; e il noumeno è un concetto-limite che serve da pro-memoria critico per ricordarci i limiti della conoscenza. Per Schopenhauer il fenomeno è illusione, sogno, ovvero ciò che nell’antica sapienza indiana è detto “velo di Maya”; mentre il noumeno è una realtà che si “nasconde” dietro l’ingannevole trama del fenomeno, e che il filosofo ha il compito di “scoprire”. Schopenhauer riconduce il concetto di fenomeno ad un significato estraneo allo spirito del kantismo, vicino alla filosofia indiana e buddistica. Il fenomeno di cui parla Schopenhauer è una rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza. Tant’è vero che egli crede di poter esprimere l’essenza del kantismo con la tesi secondo
cui “il mondo è la mia rappresentazione”.

La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili, la cui distinzione costituisce la forma generale della conoscenza: da un lato c’è il soggetto rappresentante, dall’altro c’è l’oggetto rappresentato. Soggetto e oggetto esistono soltanto all’interno della rappresentazione, e nessuno dei due precede o può esistere indipendentemente dall’altro. Di conseguenza, non ci può essere il soggetto senza oggetto. Il materialismo è falso perché nega il soggetto riducendolo all’oggetto o alla materia. L’idealismo (Fichte) è errato poiché compie il tentativo opposto.

Sulle orme del criticismo, anche Schopenhauer ritiene che la nostra mente, o più esattamente il nostro si-stema nervoso e cerebrale, risultino corredati di una serie di forme a priori. Tuttavia, a differenza di Kant, Schopenhauer ammette solo tre forme a priori: spazio, tempo e casualità. Quest’ultima è l’unica categoria, in quanto tutte le altre sono riconducibili ad essa. Poiché Schopenhauer paragona le forme a priori a dei vetri sfaccettati attraverso cui la visione delle cose si deforma, egli considera che la vita è “sogno”, cioè una sorta di “incantesimo”, che fa di essa qualcosa di simile agli stati onirici. Andando alla ricerca di precedenti illustri di questa intuizione, Schopenhauer cita i filosofi Veda, Platone, Pindaro, Sofocle, Shakespeare, Calderon de la Barca. Ma al di là del sogno esiste la realtà vera, sulla quale il filosofo che è nell’uomo, non può fare a meno di interrogarsi. Infatti, sostiene Schopenhauer, l’uomo è un “animale metafisico”, che, a differenza degli altri esseri viventi, è portato a stupirsi della propria esistenza e ad interrogarsi sull’essenza ultima della vita. Ciò avviene proporzionalmente alla sua intelligenza.

La scoperta della via d’accesso alla cosa in sé
Schopenhauer presenta la sua filosofia come l’integrazione necessaria a quella di Kant, poiché si vanta di avere individuato quella via d’accesso al noumeno che Kant aveva precluso. Se noi fossimo solo conoscenza e rappresentazione non potremmo mai uscire dal mondo fenomenico, ossia dalla rappresentazione puramente esteriore di noi e delle cose. Ma poiché siamo dati a noi medesimi non solo come rappresentazione, ma anche come corpo, non ci limitiamo a “vederci” dal di fuori, bensì ci “viviamo” anche dal di dentro, godendo e soffrendo. Ed è proprio questa esperienza di base che permette all’uomo di rompere il velo del fenomeno e di afferrare la cosa in sé. Più che intelletto o conoscenza, noi siamo vita e volontà di vivere, e il nostro stesso corpo non è che la manifestazione esteriore dell’insieme delle nostre brame interiori. E l’intero mondo fenomenico non è altro che la maniera attraverso cui la volontà si manifesta o si rende visibile a se stessa nella rappresentazione spazio-temporale.

Fondandosi sul principio di analogia, Schopenhauer afferma che la volontà di vivere non è soltanto la radice noumenica dell’uomo, ma anche l’essenza segreta di tutte le cose, ossia la cosa in sé dell’universo, finalmente svelata.

Caratteri e manifestazioni della “Volontà di vivere”
Essendo al di là del fenomeno, la Volontà presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo della rappre-sentazione, in quanto si sottrae alle forme proprie di quest’ultimo: lo spazio, il tempo e la causalità. innanzitutto la Volontà primordiale è inconscia, poiché la consapevolezza e l’intelletto costituiscono soltanto delle sue possibili manifestazioni secondarie. Di conseguenza, il termine Volontà non si identifica con quello di volontà cosciente, ma con il concetto più generale di energia o di impulso.
In secondo luogo, la Volontà risulta unica, poiché esistendo al di fuori dello spazio e del tempo si sottrae a ciò che i filosofi del Medioevo chiamavano “principio di individuazione”. Infatti la Volontà non è qui più di quanto non lo sia là. Essendo oltre la forma del tempo, la Volontà è anche eterna e indistruttibile, ossia un Principio senza inizio né fine. Essendo al di là della categoria di causa, la Volontà si configura come una For-za libera e cieca, ossia come un’Energia incausata, senza un perché e senza uno scopo. Infatti noi possiamo cercare la “ragione” di questa o quella manifestazione fenomenica della Volontà, ma non della Volontà stessa. La Volontà primordiale non ha una meta oltre se stessa: la vita vuole la vita, la volontà vuole la volontà, ed ogni motivazione o scopo cade entro l’orizzonte del vivere e del volere.
Miliardi di essere (vegetali, animali, umani) non vivono che per vivere e continuare a vivere. È questa, se-condo Schopenhauer, l’unica crudele verità sul mondo, anche se gli uomini hanno cercato di “mascherare” la sua terribile evidenza postulando un Dio cui sarebbe finalizzata e in cui troverebbe un “senso” la loro vita. Ma Dio, nell’universo doloroso di Schopenhauer, non può esistere e l’unico Assoluto è la Volontà stessa.

Il pessimismo
Dolore, piacere e noia
Affermare che l’essere è la manifestazione di una Volontà infinita equivale a dire che la vita è dolore per essenza. Infatti volere significa desiderare, e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione, per la mancanza di qualcosa che non si ha e si vorrebbe avere. Il desiderio risulta quindi, assenza, vuoto: dolore. E poiché nell’uomo la Volontà è più cosciente, egli risulta il più bisognoso e mancante degli esseri, e destinato a non trovare mai un “appagamento” definitivo; tuttavia per un desiderio che viene appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato da luogo a un desiderio nuovo. Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare appagamento durevole.
Ciò che gli uomini chiamano godimento (fisico) e gioia (psichica) è una cessazione del dolore, ossia lo scari-co da uno stato precedente di tensione. La stessa cosa non vale per il dolore, che non può essere ridotto, poiché un individuo può sperimentare una catena di dolori, senza che questi siano preceduti da altrettanti piaceri. Di conseguenza, mentre il dolore è un dato primario e permanente, il piacere è solo una funzione derivata del dolore, che vive unicamente a spese di esso.
Accanto al dolore e al piacere, si trova la noia, la quale subentra quando viene meno il desiderio o le preoccupazioni. Ciò che distingue i casi e le situazioni umane è solo il diverso modo o le diverse forme in cui esso si manifesta.

La sofferenza universale
Poiché la Volontà di vivere si manifesta in tutte le cose sotto forma di una vera e propria Sehnsucht (desiderio inappagato) cosmica, il dolore non riguarda soltanto l’uomo, ma ogni creatura. Tutto soffre. E se l’uomo soffre di più rispetto alle altre creature, è perché egli, avendo maggiore consapevolezza, è destinato a sentire in modo più accentuato la spinta della volontà, e a patire maggiormente l’insoddisfazione del desiderio e le offese dei mali. In tal modo, Schopenhauer arriva ad una delle più radicali forme di pessimismo cosmico di tutta la storia del pensiero, ritenendo che il male non sia solo nel mondo, ma nel Principio stesso da cui esso dipende.

L’illusione dell’amore
Ili fatto che alla Natura interessi solo la sopravvivenza della specie trova una sua manifestazione emblematica nell’amore, fenomeno che Schopenhauer ritiene basilare per l’individuo, e di cui la filosofia deve occuparsi. Infatti l’amore è uno dei più forti stimoli dell’esistenza. Il fine dell’amore, o lo scopo per cui esso è voluto dalla Natura, è solo l’accoppiamento. Ma se dietro il fascino di un bel volto c’è, in verità, un nascosto desiderio sessuale, vuol dire che l’individuo è lo zimbello della Natura proprio là dove crede di realizzare maggiormente il proprio godimento e la propria personalità. Manifestazione dell’essenza biologica dell’amore è il caso-limite della mantide femmina, che divora il maschio dopo l’unione sessuale, o la triste costatazione che la donna, dopo avere adempiuto alla procreazione e all’allevamento dei figli, perde bellezza e attrattive. Ma se l’amore è uno strumento per continuare la specie, non c’è amore senza sessualità.
Ed è per queste ragioni che l’amore viene inconsapevolmente avvertito come “peccato” e “vergogna”.

Le vie di liberazione dal dolore
Da quanto si è detto emerge che la vita è dolore. Si potrebbe pensare che il sistema di Schopenhauer mette capo ad una “filosofia del suicidio universale”. Invece Schopenhauer rifiuta e condanna il suicidio per due motivi di fondo:
1. il suicidio non è negazione della volontà, ma atto di forte affermazione della volontà stessa
2. il suicidio sopprime l’individuo, ossia una manifestazione fenomenica della Volontà di vivere, la-sciando intatta la cosa in sé
di conseguenza, la vera risposta al dolore del mondo non consiste nell’eliminazione, tramite il suicidio, di una o più vite, ma nella liberazione dalla stessa Volontà di vivere.
Dalla presa di coscienza del dolore e dal disinganno di fronte alle illusioni dell’esistere, nascono le varie “tappe” della liberazione. Schopenhauer articola l’iter salvifico in tre momenti essenziali: l’arte, la morale e l’ascesi.

L’arte
L’arte, secondo Schopenhauer, è conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alle idee, ossia alle forme pure o ai modelli eterni delle cose. Ciò accade perché nell’arte questo amore, questa afflizione e questa guerra diventano l’amore, l’afflizione e la guerra, ovvero l’essenza immutabile di tali fenomeni. Il soggetto che contempla le idee non è più l’individuo naturale, ma il puro soggetto del conoscere, il puro occhio del mondo. Propri per questo suo carattere contemplativo e per questa sua capacità di muoversi in un mondo di forme eterne, l’arte sottrae l’individuo alla catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani.
La musica non riproduce le idee, come le altre arti, ma si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa. Si configura come l’arte più profonda e universale, capace di metterci a contatto con le radici stesse della vita e dell’essere. Ogni arte è quindi liberatrice: poiché il piacere che essa
procura è la cessazione del bisogno. Ma la funzione liberatrice dell’arte è temporanea e parziale e ha i caratteri di un gioco effimero o di un breve incantesimo. Di conseguenza essa non è una via per uscire dalla vita, ma solo un conforto alla vita stessa.

L’etica della pietà
A differenza della contemplazione estetica, la morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo. Infatti l’etica è un tentativo di superare l’egoismo e di vincere quella lotta incessante degli individui fra di loro, che costituisce l’ingiustizia che rappresenta una delle maggiori fonti di dolore. Schopenhauer sostiene che letica non sgorga da un imperativo categorico dettato dalla ragione, ma da un sentimento di “pietà” attraverso ciò avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri. Di conseguenza, la pietà non nasce da un ragionamento astratto, ma da un’esperienza vissuta. Tant’è vero che non basta sapere che la vita è dolore e che tutti soffrono, perché bisogna sentire e realizzare questa verità.
La morale si concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la carità.
Giustizia: primo freno all’egoismo, ha un carattere negativo, poiché consiste nel non fare il male e nell’essere disposti a riconoscere negli altri ciò che siamo pronti a riconoscere in noi stessi

Carità: volontà positiva e attiva di fare del bene al prossimo. Diversamente dall’eros, è vero amore. Ai suoi massimi livelli la pietà consiste nel far propria la sofferenza di tutti gli esseri passati e presenti e nell’assumere su di sé il dolore cosmico.

L’ascesi
L’ascesi nasce dall'”orrore” dell’uomo “per l’essere di cui è manifestazione il suo proprio fenomeno, per la volontà di vivere, per l’essenza di un mondo pieno di dolore”. È l’esperienza per la quale l’individuo si pro-pone di estirpare il proprio desiderio di esistere di godere e di volere. Il primo passo dell’ascesi è la “castità perfetta”. La soppressione della volontà di vivere, di cui l’ascesi rappresenta la tecnica, è l’unico vero atto di libertà che si possibile all’uomo. Infatti l’individuo è un anello della catena causale ed è necessariamente determinato dal suo carattere. Ma quando egli riconosce la volontà come cosa in sé, si sottrae alla determinazione dei motivi che agiscono su di lui come fenomeno. In altre parole la coscienza del dolore come essenza del mondo non è un motivo, ma un quietivo del volere, capace di vincere il carattere stesso dell’individuo e le sue tendenze naturali. Quando succede ciò, l’uomo diventa libero, si rigenera ed entra in quello stato che i cristiani chiamano di grazia. Tuttavia, mentre nei mistici del Cristianesimo l’ascesi si conclude con l’estasi, nel misticismo ateo di Schopenhauer il cammino nella salvezza mette capo al nirvana buddista, che è l’esperienza del nulla.  un nulla relativo al mondo = negazione del mondo stesso.

martedì 24 dicembre 2019

L’alienazione per Marx

Marx ritiene l’alienazione un fatto reale che appartiene in modo concreto alla dimensione lavorativa del capitalismo e che rappresenta la condizione concreta in cui il lavoratore vive quotidianamente. L’alienazione è la condizione che l’operaio sperimenta nel momento in cui svolge il suo ruolo lavorativo.
L’alienazione si esprime in quattro concetti diversi che sottolineano come nel contesto lavorativo l’uomo abbia perso sè stesso ed il suo stesso essere uomo
- alienazione espressa in relazione al prodotto: ciò che l’uomo produce con il suo lavoro non gli appartiene. L’uomo lavora ma il suo lavoro non lo porta ad avere il prodotto del suo
lavoro. Ciò che produce diventa proprietà del capitalista, ovvero colui che dà lavoro all’operaio.
- alienazione espressa in relazione all’attività lavorativa: Marx sottolinea che il lavoro dovrebbe essere ciò che realizza l’uomo e far parte della sua vita reale. Invece, l’operaio non considera più l’attività lavorativa come parte costitutiva della sua vita. Tra la vita lavorativa e quella fuori dal lavoro non c’è nessuna relazione per l’uomo. L’uomo è talmente portato a vivere come bestia che quando torna alla vita reale non è più capace a vivere da uomo. Il lavoro è dovere, peso, disumanizzante.
- alienazione espressa in relazione all’essenza umana: il lavoro non qualifica e non realizza l’uomo che non trova la sua realizzazione in quanto uomo che, invece di distinguersi dagli animali, si disumanizza e ne diventa molto simile. Questo avviene a causa dei turni di lavoro massacranti ed attività cicliche; è normale che l’uomo si alieni rispetto al suo essere uomo.
- alienazione espressa in relazione con gli altri: nell’attività lavorativa si costruisce la dimensione sociale dell’uomo. Nella storia, i mali sociali dell’uomo sono stati definiti in base alla struttura economica dello Stato. Con le condizioni di vita descritte, la dimensione sociale è condizionata dall’alienazione. 

Nell’attività lavorativa si costruisce un insieme di relazioni fondate sulla disuguaglianza che diventano conflittuali.

Karl Marx

Il manifesto del Partito Comunista
Espulso dalla Francia nel 1845, Marx, si stabilì a Bruxelles dove organizzò una rete internazionale di gruppi rivoluzionari definiti "comitati di corrispondenza comunista". Nel 1847 la Lega dei comunisti chiese a Marx e a Engels di formulare un manifesto di principi del comunismo; nacque così il Manifesto del Partito comunista. Nella sezione centrale del Manifesto Marx presenta la teoria del materialismo storico, formulata in seguito in Per la critica dell'economia politica (1859) che individua nel sistema economico dominante di ogni epoca (rapporti sociali di produzione che rappresentano la struttura a differenza di tutti gli altri rapporti che si vengono a creare nella società che prendono il nome di sovrastruttura che è dipendente dalla struttura) ciò che determina (è il vero motore) la forma di organizzazione sociale e la configurazione storica e politica dell'epoca stessa (materialismo storico); Marx a questo punto mette in discussione i vecchi rapporti sociali ponendo un conflitto tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti sociali di produzione (è un fatto oggettivo, reale). Inoltre il Manifesto evidenzia la nozione di lotta di classe come processo dialettico che plasma il corso della storia (il proletariato è l'opposto dialettico del capitale). Da queste premesse teoriche Marx concluse che, nell'epoca dominata dalla forma di produzione capitalista, la classe dei capitalisti sarebbe stata eliminata da una rivoluzione organizzata dal proletariato, che avrebbe distrutto interamente la società esistente per costituire una società senza classi. Il programma prevede dunque la conquista del potere politico da parte del proletariato, seguita da una fase di accentramento del potere statale nelle mani della classe rivoluzionaria (il proletariato) come necessario punto di passaggio per giungere all'abolizione della distinzione in classi (dittatura del proletariato). Poiché tuttavia il potere politico è il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra, con la vittoria del proletariato e con il superamento della divisione in classi il potere pubblico perderà il carattere politico. Con la violenza si aiuta a venir fuori una forma di società che stava già prendendo piede: una società comunista. "Proletari di tutto il mondo unitevi, avete da perdere solo le vostre catene" Marx

Esilio politico
Dopo la pubblicazione del Manifesto scoppiarono le rivoluzioni in Francia e in Germania e il governo belga, temendo che l'ondata rivoluzionaria potesse giungere anche in Belgio, bandì Marx, che tornò a Parigi e poi nuovamente a Colonia, dove fondò e diresse il periodico comunista "Neue Rheinische Zeitung" (Nuova gazzetta renana) e si dedicò all'attivismo politico.pensiero filosofico di MarxNel 1849 fu arrestato e processato con l'accusa di incitamento all'insurrezione armata; fu assolto, ma costretto a lasciare il paese e a chiudere il giornale. In seguito, nel medesimo anno venne nuovamente espulso dalla Francia; si trasferì quindi a Londra, dove rimase fino alla morte.

Il Capitale
In Inghilterra scrisse Il Capitale (vol. 1, 1867; voll. 2 e 3, a cura di F. Engels e pubblicati postumi nel 1885 e 1894; trad. it. 1946-47), un'analisi sistematica e storica dei meccanismi di produzione e di distribuzione della ricchezza, in particolare entro il sistema capitalistico, effettuata con l'intento di enuclearne le contraddizioni e di individuare il significato dei processi economici. In questa opera Marx presenta la teoria dello sfruttamento della classe operaia da parte dei capitalisti: questi ultimi pagherebbero agli operai solo una parte del valore prodotto nel ciclo di produzione delle merci, realizzando un plusvalore e oggettivando in merce il lavoro dell'operaio. Partendo dal presupposto che nella società esistono due tipi di valore, ovvero il valore d'uso (soddisfazione di un bisogno materiale e uso dell'oggetto che soddisfa quel bisogno) e il valore di scambio (valore che ha la merce in quanto oggetto di scambio), si arriva a capire come nella società la merce è qualcosa destinata a essere scambiata e ha quindi soprattutto un valore di scambio. In un sistema capitalistico per creare un capitale bisogna fare un'accumulazione originaria del capitale, successivamente investire il capitale facendolo diventare capitale fisso (terreno, fabbrica, materie prime, macchinari) unendolo ad un capitale sociale fisso (ponti, strade...). A questo punto il capitalista introduce un capitale variabile che ha la caratteristica di valorizzarsi col tempo grazie allo sfruttamento di una forza-lavoro (gli operai). Il profitto viene dal lavoro poiché gli operai che vengono pagati X hanno valorizzato la merce rendendola 2X (3X, 4X, 5X...). Il conflitto si ha dunque per determinare il valore della forza lavoro. Da qui deriva la teoria del valore-lavoro che ci dice a quale prezzo si deve acquistare la merce, da che cosa è determinato il valore della merce: il valore della merce è stabilito "dal lavoro necessario per produrre quella merce". Arrivati alla fine del processo per valorizzare il capitale vediamo che il plusvalore altro non è che il guadagno netto che il capitalista ha ottenuto dalla vendita della merce prodotta, merce che ha acquistato una vita propria, è diventata più importante degli uomini che la producono (feticismo delle merci).

La guerra civile in Francia
Nell'opera La guerra civile in Francia (1871) Marx analizzò l'esperienza del governo rivoluzionario istituito a Parigi durante la guerra franco-prussiana, noto come la Comune di Parigi, interpretando la Comune come una conferma storica della necessità per i lavoratori di impadronirsi del potere politico
con un'insurrezione armata e distruggere poi lo stato capitalistico; Marx dunque pensa alla Comune di Parigi come ad un esempio di stato socialista autogovernato ponendo la sua attenzione sull'aspetto libertario della Comune, ovvero far finire il governo dell'uomo sull'uomo. Queste idee sono presentate anche nella Critica del programma di Gotha (1875); in Inghilterra Marx collaborò anche con quotidiani sia europei sia americani, come il "New York Tribune", con articoli sugli eventi politici e sociali.

Ultimi anni
Dopo la scioglimento della Lega comunista nel 1852, Marx mantenne i contatti con centinaia di rivoluzionari con i quali fondò a Londra nel 1864 la Prima internazionale, di cui tenne il discorso inaugurale, redasse lo statuto e diresse il consiglio generale; in seguito, dopo la soppressione della Comune, anche l'Internazionale andò in declino. Altre opere importanti di Marx sono i Manoscritti economico-filosofici (1844; pubblicati postumi nel 1932); La sacra famiglia, il primo lavoro compiuto in collaborazione con Engels (1842); L'ideologia tedesca (1845-46); Miseria della filosofia (1847).

Concezione della storia
Marx ha una concezione della storia estremamente lineare, ma per Marx noi viviamo ancora nel periodo preistorico, ovvero il periodo del Socialismo (dove già sono stati statalizzati i mezzi di produzione e l'economia è stata pianificata), poiché la vera storia si avrà con l'avvento del periodo Comunista (dove vigerà la regola "da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni"). Con questo passaggio dal socialismo al comunismo nascerà anche un uomo nuovo.

Fortuna delle teorie di Marx
La fortuna delle dottrine di Marx si accrebbe dopo la sua morte con l'affermarsi del movimento operaio. Le sue teorie, conosciute in seguito con il nome di marxismo o socialismo scientifico, costituirono una delle principali correnti del pensiero contemporaneo. La sua analisi dell'economia capitalista e la sua teoria del materialismo storico, della lotta di classe e del plusvalore sono alle fondamenta del socialismo moderno. Rilevanti rispetto all'azione rivoluzionaria sono le teorie dello stato capitalista e della dittatura del proletariato, riprese in seguito da Lenin. Queste idee costituirono il cuore del bolscevismo e della Terza internazionale.


Feuerbach





In seguito alla morte di Hegel nel 1831, si verificò una divisione fra i suoi numerosi discepoli causata dal diverso approccio di fronte alla religione e alla politica.
Si delinearono così due correnti la destra, formata dai membri più anziani, e la sinistra hegeliana, formata dai giovani nati dopo il 1800, quindi più giovani e rivoluzionari.

Uno dei più grandi esponenti della sinistra hegeliana fu Feuerbach, nonché fondatore dell'ateismo filosofico ottocentesco.

Dapprima fervente hegeliano, si staccò da questa corrente con le opere Critica della filosofia hegeliana e Tesi provvisorie per la riforma della filosofia. Si vide troncare la carriera universitaria dall'ostilità incontrata dalle idee sulla religione esposte in uno dei suoi primi scritti pensieri sulla morte e sull'immortalità. Nel 1841 pubblica la sua opera più importante "L’essenza del cristianesimo" alla quale seguì "L’essenza della religione". Si ritirò nella solitudine e nello studio, passò i suoi ultimi anni in miseria e morì nel 1872 a Rechenberg.


FILOSOFIA 


La filosofia di Feuerbach nata dal bisogno di cogliere in tutta la sua concretezza l’uomo e la realtà, ha come presupposto un critica radicale della maniera idealistico-religiosa di
apportarsi al mondo che consiste in uno stravolgimento dei rapporti reali fra soggetto e predicato, concreto e astratto tramite cui non si giunge mai alla realtà vera. Da ciò Feuerbach propone un’inversione dei rapporti fra soggetto e predicato instaurati dall'idealismo, trasformando l’attributo in sostantivo e il predicato in soggetto. L’inizio della filosofia non è Dio, né l’Assoluto, l’essere come predicato dell’assoluto o dell’idea. L’inizio è il finito, il determinato, il reale.



Religione

Secondo Feuerbach, non è Dio (astratto) che ha creato l’uomo (concreto) ma l’uomo che ha creato Dio che è la proiezione illusoria di caratteristiche della nostra specie quali la ragione, la volontà, il cuore. Quindi il divino è l’umano in generale, proiettato in un mitico Aldilà e adorato come tale. Di conseguenza la religione è l’insieme di tutti quei rapporti dell’uomo con sé stesso, con il proprio essere riguardato però in un altro essere.


Tutte le qualificazioni ad esse attribuite sono attributi dell’essere umano. Questa antropologia capovolta che corrisponde alla religione, è la prima autocoscienza dell’uomo prima della filosofia. L’uomo sposta il suo essere fuori di sé prima di scoprirlo in sé stesso. Ma come nasce nell’uomo l’ideale di Dio? Feuerbach fornisce varie ipotesi. La prima vede l’origine di Dio dal fatto che l’uomo a differenza degli animali ha coscienza di sé stesso non solo come individuo (debole e fragile e solo), ma anche come specie (infinito e onnipotente). Da ciò l’idea di Dio e quindi ancora personificazione del proprio essere. L’altra ipotesi trova le fondamenta nell’umana opposizione fra volere e potere che porta l’uomo a costruirsi una divinità in cui siano realizzati tutti i suoi desideri. Nel volere l’uomo è infinito e illimitato, libero, il pensare il volere sono cosa propria ma non la cosa desiderata o pensata, non è propria. L’unico ente in cui possono essere tolte tali contraddizioni è il divino. I Greci avevano divinità limitate perché avevano desideri limitati, i Cristiani invece hanno desideri illimitati e quindi un Dio infinito e onnipotente. In altri casi l’idea di Dio nasce dal sentimento umano di dipendenza che l’uomo prova di fronte alla natura, sentimento che lo spinge ad adorare quelle cose senza cui non potrebbe esistere.

Per Feuerbach l’origine della religione è una forma di alienazione e quindi uno stato

patologico per cui l’uomo scindendosi proietta fuori di sé una potenza superiore (Dio) alla quale si sottomette anche in modi umilianti e brutali. La religione quindi è un’oggettivazione alienata e alienante secondo cui quanto più l’uomo pone in Dio, più toglie a sé stesso, la sua gloria si basa esclusivamente sull’abbassamento dell’uomo, la beatitudine divina sulla miseria umana, la divina sapienza sull’umana follia, la potenza divina sulla debolezza umana. In questo scenario, l’ateismo si propone come onestà filosofica e dovere morale il quale deve spingere gli uomini a riappropriarsi dei predicati positivi che ha proiettato fuori di sé. Quindi in questo campo la filosofia di Feuerbach delinea il ritorno della religione da soggetto a predicato. Quindi non più Dio (soggetto) è sapienza, volontà e amore(predicato) ma sapienza, volontà, e amore umano (soggetto) sono divini (predicato). Di conseguenza il compito della vera filosofia non è quello di porre il finito nell’infinito, ma l’infinito nel finito e quindi risolvere Dio nell’Uomo. L’ateismo di Feuerbach si presenta quindi anche in chiave positivista con la proposta dell’uomo come nuova divinità.



venerdì 15 novembre 2019

la dialettica servo padrone

DIALETTICA SERVO PADRONE HEGEL 

O come disse lo stesso Hegel, « La fenomenologia dello spirito è la storia romanzata della coscienza che via via si riconosce come spirito ». 

La prima tappa è la Coscienza, intesa come sensazione, percezione e intelletto. Essa si evolve nell’Autocoscienza, cioè coscienza che prende coscienza di sé, della propria esistenza, grazie al riconoscimento da parte di altre autocoscienze, ottenuto dopo un conflitto con esse. Ma quando un soggetto si afferma, l’altro sconfitto ha due possibilità davanti a sé: la morte o la schiavitù. Con la schiavitù, nasce la dialettica servo-padrone, basata su un momento triadico: paura della morte, servizio e lavoro. Il lavoro diventa un’occasione per ottenere l’indipendenza, la vittoria sul padrone che opprime e comanda sul servo. Per dirlo con le parole di Hegel : “Il signore si rapporta alla cosa in guisa mediata, attraverso il servo: anche il servo, in quanto autocoscienza n genere, si riferisce negativamente alla cosa e la toglie; (…) il servo col suo lavoro non fa che trasformarla”. Quindi, il padrone consuma e gode dell’oggetto posseduto, e non può essere riconosciuto autocoscienza dal servo perché questo gli è inferiore; invece il servo lavora e  trasforma l’oggetto, imprimendo in esso la sua soggettività e riconoscendosi finalmente come essere autonomo.

mercoledì 16 ottobre 2019

Fichte, Schelling, Hegel

Schelling, Fichte e Hegel sono filosofi tedeschi vissuti in Germania tra la fine del 1700 e i primi anni del 1800.
Essi sviluppano il loro pensiero  basandosi sull'idealismo, ovvero il superamento della ragione illuministica e l'affermazione di una nuova visione del mondo, che esalta il sentimento, l'arte e la tradizione

 Pensiero di Fichte 


  • Fichte sostiene che l'io è un processo creativo e infinito che si articola in tre momenti:
  1. Tesi:  l'Io pone se stesso: si rivela come attività auto creatrice. 
  2.  Antitesi: l'Io pone il non-io: produce l'altro da sé come oggetto e ostacolo indispensabile alla sua attività
  3.  Sintesi: l'io oppone nell'io, all'io divisibile un non-io divisibile: si particolarizza nei singoli io empirici e finiti contrapposti alle cose del mondo.
  •  La natura e il mondo non possono esistere in modo indipendente dall'io, infatti pone il non-io e si determina come io empirico grazie all'immaginazione produttiva
  •  Il compito dell'uomo è affermare la propria libertà: il mondo esiste in funzione dell'attività dell'uomo e del suo autoperfezionamento. 
  •  Primato della vita morale rispetto a quella teorica
  •  L''uomo ha il suo fine nella società, la quale ha obiettivo di realizzare la completa unità di tutti i suoi membri
  •  Esistono due leggi morali: 
  1.  trattare gli altri come fine e mai come mezzo 
  2.  puntare al perfezionamento degli uomini tramite l'educazione: la missione del dotto consiste nel promuovere il progresso culturale e morale di tutte le classi. 
 Pensiero di Schelling

  • Schelling afferma che il principio infinito creatore della realtà è assoluto, il quale è la suprema unità di spirito e natura soggetto e oggetto.
  • La filosofia è la scienza dell'assoluto e può seguire due direzioni:
  1. la filosofia della natura che partendo dalla natura giunge allo spirito 
  2. la filosofia dello spirito che partendo dallo spirito giunge alla natura, infatti spirito e natura sono due modalità di realizzazione e di espressione dell'assoluto
  • L'arte è supremo organo conoscitivo, infatti riesce a cogliere le profondità originaria della natura e della vita.
  • Grazie all'intuizione estetica ha la capacità di penetrare l'infinito attraverso le sue forme concrete 
  •  L'attività dell'artista è simile a quella dell'assoluto creatore
l'opera del genio si compone di ispirazione inconsapevole, ed esecuzione consapevole. (soggettività e oggettività, spirito e natura)
Pensiero di Hegel

I tre concetti chiave della filosofia hegeliana sono

  • La convinzione della razionalità del reale: per cui tutta la realtà coincide con il dispiegarsi progressivo di un principio razionale (l'idea o assoluto), il quale è onnicomprensivo e non è sostanza ma processo, dunque la sua verità si rivela alla fine, in cui si realizza la sintesi dei momenti precedenti
  • La filosofia è descrizione di ciò che è già avvenuto e comprensione della struttura razionale degli eventi
  •  L'idea che la verità coincide con tutto: cioè non consiste in una considerazione parziale delle     cose, ma nella loro visione completa e globale, infatti ogni cosa o aspetto ha un senso che risiede nella sua relazione con tutti gli altri
  • La concezione dialettica della realtà e del pensiero: secondo cui la realtà e il pensiero seguono la medesima legge di sviluppo che si compone di tre momenti 
  1.  Intellettuale o astratto (tesi): affermazione o posizione di un concetto astratto e limitato
  2. dialettico o della negazione (antitesi): la negazione della tesi come concetto limitato e finito 
  3. speculativo (sintesi): la negazione della negazione che è affermazione dell'unità delle determinazioni opposte.